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LA GESTIONE MENTALE DELLE DIFFICOLTA' DI UN TENNISTA

Mi è capitato spesso di leggere articoli pubblicati da insegnanti o allenatori riguardo alle difficoltà affrontate da un giocatore di tennis durante lo svolgimento di un match.

Quali e quante problematiche possono verificarsi durante lo svolgimento di una partita? E quali sono le difficoltà maggiori per un tennista? Quelle tecniche, fisiche, tattiche o mentali?

La maggior parte degli allenatori focalizza la propria attenzione sugli aspetti tecnici, fondamentali a loro avviso per la riuscita di una buona prestazione. Alcuni altri sponsorizzano la tesi dell’allenamento fisico, forgiando il proprio giocatore con ore ed ore di preparazione fisica mista a sessioni tecniche.
Raramente si vede lavorare un maestro sulla parte mentale. Più spesso la gestione mentale viene scambiata con suggerimenti sulla grinta, la determinazione, l’atteggiamento da utilizzare in campo e con consigli sulla gestione tattica del match.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: per quale motivo questo elemento così importante per le crescita sportiva di un atleta, viene il più delle volte dimenticato e viene raramente inserito nella programmazione didattica di una scuola tennis?

Le risposte a mio avviso più verosimili sono due. In primis una cultura sportiva ancora imperniata sulla costruzione tecnica del giocatore, che non vede le tecnica come uno strumento per il raggiungimento di un obiettivo, ma il raggiungimento della tecnica come obiettivo vero e proprio, scambiando il nostro sport con altre discipline sportive, come ad esempio la ginnastica, dove tecnica e risultato coincidono. Secondo questa visione collettiva, un atleta non può essere definito tale se non dimostra un’eccellente tecnica esecutiva e una grande preparazione fisica. Visione che se da una parte risulta corretta perché una buona prestazione dipende indubbiamente da fattori tecnici e fisici, dall’altra non prende in minima considerazione gli aspetti emozionali e quindi mentali, che il più delle volte condizionano in positivo o in negativo ogni prestazione.

La seconda risposta è forse la mancanza di formazione in tal senso dei tecnici sportivi. Mentre la tecnica viene appresa da un insegnante durante la sua crescita sportiva come atleta prima e come formatore poi, le conoscenze di mental training non sono, purtroppo, quasi mai parte del bagaglio dell’atleta e raramente vengono inserite nei così di formazione professionale per istruttori sportivi, determinando quindi un deficit conoscitivo da parte degli insegnanti che non saranno di conseguenza in grado di trasmetterle ai propri atleti.
Quali sono quindi le priorità da gestire rispetto alla difficoltà affrontate da un tennista e quando cominciare ad utilizzare la parte mentale nell’insegnamento?

A mio avviso la parte tecnica e quella mentale diventano legate in maniera indissolubile già nelle prime fasi del l’apprendimento e vanno quindi a determinare una qualità più alta della prestazione in ogni step successivo.

Pensa ad esempio ad un allievo alle prime armi che concentrato sul gesto da eseguire non riesce a porre l’attenzione sull’arrivo della palla, trovandosi costantemente in ritardo nell’esecuzione del colpo. Ti sarai sicuramente domandato cosa succede nella testa del tuo allievo e come mai si trova in ritardo, anche se per aiutarlo gli fornisci una palla con la mano.
Il primo aspetto da considerare è che, come descritto nella ricerca dello psicologo George A. Miller, la nostra mente riesce a memorizzare nella nostra memoria a breve termine, un numero limitato di informazioni, stabilito generalmente in 7 +- 2, ma che può variare anche verso il basso in alcuni soggetti.

Ciò significa che se il tuo allievo è concentrato su alcuni aspetti come ad esempio l’utilizzo dell’arto non dominante nella fase di preparazione, la rotazione delle spalle, la ricerca della palla, la stance, il piegamento delle gambe e…. a questo punto potrebbe aver già esaurito la sua capacità di elaborare informazioni e perdere di vista forse il fattore più importante, la palla in arrivo.
Si avrà quindi una sorta di gestione continua dell’emergenza con un effetto ping pong vissuto dall’allievo: dato che si è scordato di effettuare la preparazione del colpo deve porre rimedio. Sposterà in fretta la sua attenzione sul portare dietro la racchetta (e tutto quello che segue) e portando l’attenzione sul gesto di preparazione perderà di vista la palla, causando un vero e proprio loop che porterà ad un timing errato con conseguente impatto arretrato e a un aumento del livello dell’ansia, per la fretta utilizzata nel gestire le continue emergenze.

Come puoi aiutare il tuo allievo principiante in questo senso?
Un semplice aiuto concreto può essere quello di raggruppare in blocchi (chunking) le singole fasi del movimento, in modo che le sequenze da ricordare siano minori e il tuo allievo sia in grado di distribuire l’attenzione, concentrandosi sulle cose da fare senza sovraccaricare la memoria a breve termine.
Il movimento di preparazione del diritto ad esempio, costituito da una rotazione delle spalle, con azione di distensione laterale dell’arto non dominante per un miglior caricamento della spalla sinistra (per i destri), dall’azione di arretramento della racchetta con il tappo della racchetta aperto, e dall’avanzamento del piede sinistro per la ricerca di una stance corretta, può essere insegnato in fase di avviamento come un unico movimento, permettendo all’allievo di non porre l’attenzione sui singoli segmenti corporei coinvolti, che causerebbe un surplus di informazioni per la memoria a breve termine. In questo modo l’allievo sarà in grado di spostare il focus sull’arrivo della palla, evitando di porsi domande sul cosa c’è da fare prima o dopo nella sequenza esecutiva.
Si aumenterà la concentrazione del soggetto, dando spazio ad un’attenzione sulla capacità percettiva, fondamentale per aiutare il giocatore a sentire il corretto impatto e per dosare la giusta forza sia nella spinta verticale che orizzontale dell’attrezzo.

Lo stesso processo rispetto alla quantità di informazioni disponibili si verifica per un giocatore più evoluto, con la differenza che con la crescita sportiva del giocatore, aumenta la conoscenza procedurale dello stesso e quindi alcune informazioni di base risultano ormai acquisite a livello inconscio. Le difficoltà saranno di diverso tipo rispetto a quelle riscontrate nelle prime fasi dell’apprendimento, ma determineranno in ogni caso un calo prestazionale se non si interverrà con interventi corretti dal punto di vista mentale. Ma questo lo vedremo in un prossimo articolo.

Mauro Marino

Mental Coach
Responsabile Nazionale e della Formazione AICS Tennis

LA GESTIONE MENTALE DELLE DIFFICOLTA’ DI UN TENNISTA. 1° PARTE

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